Al nostro arrivo nel 2004 c’era un rudere ( jazzo ) abbandonato da molti anni, con al lato una piccola falda acquifera e alcuni muretti a secco in parte caduti. Lo jazzo del Grasso (dal nome della contrada) anticamente rifugio per animali in transumanza che scendevano dalla dorsale appenninica per svernare nella piana di Vibonati, nella prima parte del Novecento è stato il bottaio della rinomata ‘a vigna re Donn’Alfonso’ di una notabile famiglia vibonatese, in cui – narrano gli anziani del paese – al tempo delle lavorazioni della vigna arrivavano anche 40 braccianti dal paese che, a lavoro finito, pranzavano tutti insieme allo stazzo della contrada Grasso. Non esiste famiglia di Vibonati che non aveva almeno un familiare al lavoro nella vigna. Oltre alla malvasia si coltivavano antiche varietà, tra cui il Chiapparone, di cui abbiamo iniziato a prenderci cura noi.
Morti gli ultimi eredi, negli anni ’70 fu abbandonata e poi ceduta e, di mano in mano, è arrivata noi, giusto in tempo prima di scomparire definitivamente. Il lavoro di recupero, sia materiale (edilizio e agricolo) che della memoria storica, è stato impegnativo, la ristrutturazione è avvenuta seguendo prevalentemente i criteri della bioedilizia e abbiamo cercato di mantenere il più possibile l’impianto e la posizione originaria del vecchio stazzo. Abbiamo incanalato le acque e negli anni recuperato la fruibilità produttiva e ridonato così nuova vita al sito riconvertendolo in fattoria. E così la contrada Grasso, da anni spopolata, ha ricominciato ad avere i suoi abitanti stanziali ed equivalenti.